giovedì 21 aprile 2016

You know, some guys just can't hold there arsenic! - Welcome Satine

- Chi è la festeggiata che compie 16 anni?!
- Allison smettila. Non voglio che tutta la scuola si chieda perché non ho organizzato una festa.
- Daisy non è un crimine non essere ricchi come la metà di questa scuola del cazzo ma dovremmo festeggiare! Ti fai i capelli e andiamo da Derek e ci facciamo fare finalmente quei documenti falsi e ce la spassiamo. Guido io.
- Allison dobbiamo studiare. Compito di chimica, ricordi?
- Prenderai lo stesso quella borsa di studio genietto anche se per una sera usciamo a divertirci.
- E poi ci sono le prove del Musical! Sai che succede se quella troietta di Regina si prende il mio posto?
- Sarai la più bella Satine che questa scuola abbia mai visto. Lo sa tutto il club di teatro. Dai dai andiamo. Non accetto un no.
- Ok
- Ok!



§§§

- Mamma io esco!
- Dove vai vestita in quel modo?
- Non sono affari tuoi Joffry
- Si che sono affari miei ragazzina!
- Non sono una ragazzina. Ho sedici anni ed esco.

Lo guarda negli occhi con la saccenza di un’adolescente di sedici anni che affronta lo sguardo di un patrigno sempre ubriaco che passa le giornate seduto sulla poltrona a guardare la televisione. Sbatte la porta della roulotte fiera del proprio abito corto, dei propri boccoli, dei tacchi alti e del trucco forse un po’ troppo pesante per sembrare grande tanto quanto “ Josephine Wesley “

§§§

- Si può sapere che diavolo di nome è Josephine?
- E’ francese! Il nome della prima moglie di Napoleone. In punto di morte è stata la sua ultima parola… Romantico no?
- Sei un caso disperato Daisy.
- Non sono io quella che si è fatta prendere dal panico quando ci ha chiesto di mostrargli i documenti.
- Va bene va bene non ti vantare … Casa mia e guardiamo un film?
- Scelgo io. 

§§§

Addormentarsi a casa di Allison con i suoi capelli quasi in bocca per la posizione stramba che hanno preso sul divano non è stato il modo migliore di festeggiare il compleanno. O forse si. Pensa che lo deciderà quando ne festeggerà trenta e ripenserà a quando era giovane. A trentanni sarò ancora giovane e bella!
Si toglie le scarpe per non fare rumore mentre rientra a casa. Si affaccia, sbirciando sua madre dormire nel lettone. E’ solo un attimo ma Daisy Diderot vorrebbe non avere sedici anni e potersi mettere a dormire accanto a lei. Come quando c’era papà.

- Non dare fastidio a tua madre ragazzina!
- Non le do fastidio.

Lo guarda, ubriaco con la bottiglia di birra in mano mentre si alza e lo vede, d’un tratto, la scintilla poco lucida che gli anima gli occhi sembra cambiare. Cambia quando le risale dai piedi nudi fino alle gambe scoperte e poi le sale su a spiare il collo e poi la sua bocca carnosa, una rosa in boccio.

- E’ vero … oggi è il tuo compleanno. Sedici anni. Sei cresciuta ragazzina.

Sente il suo alito alcolico contro, troppo vicino. Gira la faccia per sfuggire ad una carezza che vorrebbe sfiorarle il labbro inferiore. 

- Non lo diremo alla mamma. Non ti preoccupare.

E quando prova a toccarle di nuovo lo spinge via da sé, con tanta forza che il patrigno intruppa e la bottiglia di birra cade a terra.

- Maledetta ragazzina!

Vede il pugno alzarsi esattamente come tante altre volte lo ha visto abbattersi contro la faccia di sua madre. Si rannicchia su sé stessa e stringe gli occhi ma non sente niente. Il dolore non arriva. E qualcuno urla ma non è lei. Un bagliore lancia arcobaleni per tutta la stanza. E’ lei, il suo corpo di diamante che riflette la lucetta. Si guarda le mani con la faccia sconvolta tanto quanto quella dell’uomo che la guarda. Corre nel bagnetto allo specchio. Si fissa, sfiorandosi piano i lineamenti del volto e quelle mille sfaccettature diverse. 

- Cosa sono… 

§§§

- Stai bene? Non è che quel bastardo ti ha fatto storie che ieri sei tornata tardi?
- Si sto bene.
- Sembri distratta…
- No, sto bene.
- Vengo da te a studiare chimica?
- No Allison meglio… Ti do i miei appunti ma ci vediamo domani.

§§§
Se ne sta rannicchiata sul letto, le gambe incrociate a studiare dal librone di chimica anche se non ne ha bisogno. Cuffiette nelle orecchie per non sentire niente. Il patrigno non l’ha più nemmeno guardata. E’ certa che a sua madre non abbia detto niente. Infondo che dovrebbe dirgli? Volevo approfittare di tua figlia ma lei si è trasformata in non so che cosa e mi sono fatto male da solo? Che coglione.

 La Mamma che beve. Lui che beve. Loro che scopano troppo rumorosamente. Loro che litigano ancora più forte. Il rumore di qualcosa che si rompe. La mamma che piange. Sempre lo stesso. Ogni settimana, ogni mese, ogni anno da tanti anni. 

Sposta lo sguardo dal libro di chimica. Poi alla maschera di scena di Satine del teatro. Alle proprie mani tornate normali dopo essere state di diamante. E quella canzone che continua nelle orecchie… he had it coming, he had it comimg, he took a power in his stride and then he used and he abused it, it was a murder but not a crime.

§§§

 You know, some guys just can't hold there arsenic

Ha seguito il patrigno fino al bar. Sempre il solito come qualsiasi alcolizzato che si rispetti. Ha su una parrucca di scena. Il cuore le batte in petto come un tamburo mentre prega di aver usato le dosi giuste per quel composto sintetico creato durante l’ora di buco nel laboratorio del liceo. Sa già quanto regge la vescica dell’uomo: 3 birre e mezzo prima di dover andare in bagno. Passa la labbra sulla bocca arida. Filtra con il barman mentre gli mostra il documento falso per non essere cacciata via e appena può fa cadere dalla provetta il liquido trasparente ed insapore nella birra scura.
Esce fuori, nel vicolo buio. Aspetta. Aspetta. Non sente nessuno urlare per cui va bene. Può andare bene.
Lo segue ancora con il terrore di essere riconosciuta fino a quando non lo vede accasciarsi a terra e solo in quel momento lo raggiunge. 

- A-aiutami. Sto male.
- Ben ti sta. Finalmente ti torna indietro tutto quello che hai fatto. Sputi tutto il sangue che hai fatto versare.
Alla mamma.
Quello la guarda stralunato, vomita sangue e alcol.
- Che mi succede?
- Si chiama Karma.

Dice mentre prende coraggio. Gli prende i capelli lunghi e luridi con la mano destra, li tira, si fa guardare dritta contro la maschera bianca che lascia scoperta solo le labbra colorate di rosso. 

- Oppure possiamo chiamarlo arsenico.  No... Scherzo. Non ti ucciderà ma continuerai a vomitare sangue, ti sembrerà che tutti i tuoi organi vitali stiano bruciando ma sopravviverai.
- Cosa vuoi?
- Hai finito di picchiare le donne, di fargli violenza. Sei solo un verme. Voglio che stai lontano dalla famiglia Diderot. Non farti più vedere. Prova solo a tornare in quella casa. Prova ad alzare le tue mani schifose contro qualcun altro e la prossima volta ti ucciderò e se credi che lo farò più velocemente di quanto possa fare un qualsiasi veleno, ti sbagli. E non provare a chiamare aiuto: perché ho le prove di tutta la merda che hai commesso in questi anni e ti sbatteranno in galera e i tuoi compagni non saranno più clementi di me. 

Lo lascia lì dandogli le spalle. E non corre perché è più figo non correre e perché le tremano le gambe di paura. Gli occhi le si riempiono di lacrime. Alla fine quando è sicura di non essere vista inizia a farlo, a perdifiato e appena arriva a casa i muscoli le bruciano. Sudata. Il trucco sciolto. Si spoglia. Butta la parrucca. Si getta nella doccia per togliersi via tutto quella schifezza di dosso, tutti gli strascichi di quella notte. Della prima notte in cui ha vestito i panni di Satine.




Sbircia la mamma dormire. La copre con il piumone e, alla fine, sgattaiola sotto le coperte con lei.

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